Inizio questa piccola rubrica dedicata ai consigli di lettura con il romanzo che ho finito pochi giorni fa: “La ragazza delle ciliegie” di Laura Madeleine, pubblicato in Italia da Piemme (2017). La inizio sottolineando una questione che a me resta sempre incastrata in gola con un misto di fastidio e di dispiacere: la traduzione italiana dei titoli di romanzi stranieri. Questo dolce e delicato romance si intitola infatti nella sua versione originale “Where the wild cherries grow”, letteralmente “Laddove crescono le ciliegie selvatiche”, un titolo assai meno banale del corrispettivo (e commercialissimo) italiano, che sbilancia a mio avviso l’intera vicenda sulla figura della protagonista anziché sulla sua storia, creando un collegamento – di fatto inesistente all’interno della storia – tra lei e le ciliegie, mentre la nostra beneamata passa metà del romanzo a cucinare speziate salse all’aglio o al pesce. Sottigliezze? Forse, ma solo un po’.

“La ragazza delle ciliegie”: perdita, fuga e riscatto

La storia si snoda lungo due archi temporali diversi ma intrecciati, in un continuo rimando tra “ieri” e “oggi”. Da un lato abbiamo infatti la vicenda di Emeline Vane, fanciulla inglese di buona famiglia a cui la Prima Guerra Mondiale ha strappato via gli affetti più cari e, con essi, la voglia di vivere: disperata e tradita anche da chi avrebbe dovuto proteggerla, la giovane sale su un treno per sfuggire a un destino inutilmente crudele. Nessuno la vede mai più.

Dall’altro lato, invece, seguiamo le vicissitudini di Bill Perch, aspirante avvocato inglese a cui negli anni Sessanta viene affidato un caso bizzarro: dimostrare ufficialmente la morte di Emeline Vane, cosicché gli eredi possano vendere liberamente la tenuta di famiglia. Ma una volta giunto nel Norfolk a caccia delle prove richieste, il giovane si scopre incapace di prendere parte a quell’inganno e cerca di capire cosa sia davvero successo a Emeline e perché sia sparita. Un viaggio che, tra buffi incontri con hippy spiantati e contrabbandieri ferroviari, lo conduce fino a Cerbère, sui Pirenei francesi, dove scoprirà che la giovane Emeline era riuscita ritrovare la voglia di vivere…

Perché leggerlo

  • “La ragazza delle ciliegie” è un romance delicato, dolce, non scontato. Azzeccata la scelta dell’autrice di non vincolare la narrazione alla classica dinamica nipote-che-scopre-per-caso-il-segreto-della-nonna e di lasciare invece che a dipanare il destino di Emeline sia una persona terza, coinvolta suo malgrado e di sesso maschile, come Bill Perch. La scelta aggiunge spessore a una trama che altrimenti avrebbe rischiato di risultare altamente prevedibile.
  • Emeline Vane è un personaggio con cui è facile immedesimarsi. E’ piacevole seguire la sua “rinascita”. Niente illuminazioni sulla via di Damasco, niente cambi di umore o di attitudine da una pagina all’altra, quanto piuttosto un graduale cambiare, mettersi in gioco, interrogarsi e rifiorire.
  • Bill Perch è irrimediabilmente simpatico. Il che significa che i brani raccontati dal suo punto di vista sono esilaranti senza essere cretini. Sveglio ma goffo, ambizioso ma impacciato, intenzionato a fare bella figura ma capace di colpi di testa… Seguirlo nella sua ricerca ella verità su Emeline Vane è divertente e alleggerisce l’intera trama, senza per questo farla diventare frivola.
  • Belle ambientazioni, suggestive ma non banali. Voglio dire, è facile ambientare un romance a Parigi. Meno facile è ambientarlo in un paesino di pescatori sul Mediterraneo, al confine con la Spagna, dove la vita è dura e il lavoro faticoso, senza scadere negli eccessi o negli stereotipi bucolici o marinari.
  • L’amore non è esattamente il cuore di tutta la vicenda, ne è semmai la conseguenza. Tutto ruota attorno al riscatto di Emeline, in primis con se stessa, e alla sua capacità di tornare a vivere attraverso una cucina che è cura, affetto, vicinanza.
  • Da acquolina in bocca le descrizioni culinarie e la capacità di ricreare l’atavico legame tra terra, mare e comunità.

Aspetti che… Boh, punto di domanda

“La ragazza delle ciliegie” mi è piaciuto. Tuttavia – al netto del parere personale che lascia un po’ il tempo che trova – da editor ciò che conta è definire se un romanzo funziona o meno in relazione al pubblico per cui è stato pensato: donna, tra i 25 e i 50 anni circa, in cerca di evasione e svago letterario che non sia eccessivamente frivolo ma neppure troppo impegnato. Una coccola narrativa che parla di sentimenti, un pizzico di avventura e capacità di ricrearsi una strada quando tutto è buio. In questo senso, funziona. Ma, lo ammetto, la tenuta dell’impianto narrativo complessivo non è a mio avviso del tutto stagna.

Non è quel genere di romanzo per cui arrivi alla fine ed esclami “Wow!”, poggiandolo come se avessi perso un amico carissimo, per capirci.

Come mai? Questione di dettagli e di pesi, secondo me. Da un lato c’è la percezione che le scelte editoriali siano mirato appositamente a solleticare un certo tipo di mood: da qui, la mia irritazione per il titolo sfasato nella traduzione italiana: Emeline con le ciliegie davvero non c’entra una mazza. Il ciliegio è semmai un simbolo del paese di Cerbère e del nuovo amore della ragazza.

Dall’altro c’è quasi un senso di incompiutezza, dovuto principalmente alla coesistenza di due location ugualmente suggestive – la tenuta nel Norfolk e i Pirenei – che però è come se si “rubassero la scena” all’interno del romanzo. L’impressione è che manchi un filo conduttore reale e tangibile capace di unire concretamente – e non solo a parole – i due mondi di Emeline e quindi i due mondi di Perch. Alla fine si segue sì la vicenda di Emeline, ma sempre con una sorta di vago distacco.

Lo consiglio se…

Se siete alla ricerca di una lettura poco impegnativa ma comunque avvincente e credibile, “La ragazza delle ciliegie” è una validissima compagnia. La scrittura è scorrevole, frizzante ed evocativa e l’autrice ha la capacità – che non è da tutti – di riuscire a costruire personaggi multisfaccettati anche solo con i dialoghi, conferendo a ciascuno carattere e personalità. Insomma, una lettura piacevole e positiva: ce n’è bisogno di questi tempi, giusto?