“Tacuì” significa taccuino in dialetto bergamasco.
È un nome a cui tengo molto, perché racchiude in poche lettere una serie di significati e racconta ciò che sono, ciò che faccio, il luogo da cui vengo e sì, anche quello che voglio fare con il mio lavoro.
TACUÌ perché il taccuino è da sempre il mio oggetto-feticcio, quello che in borsa non manca mai (e con “mai” intendo davvero mai) e senza il quale mi sento un po’ sperduta. Toglietemi tutto ma non il mio taccuino, insomma.
TACUÌ perché appartengo alla vecchia guardia e le cose importanti – spunti, idee, pensieri, to do list – me le devo annotare ancora con penna e carta. E anche perché in materia di taccuini sono esigente: club A5, foglio avorio senza righe, copertina morbida e zero fronzoli caramellosi.
TACUÌ perché sono cittadina del mondo ma bergamasca di radici. E sì, capisco quella lingua astrusa che è il dialetto bergamasco. Vi sono anche molto affezionata, sebbene in famiglia mi facciano spesso presente quanto il mio accento sia penoso.
TACUÌ perché anche i servizi editoriali che offro vogliono essere immediati, chiari, a misura di autore. Così come deve esserlo un buon taccuino: a misura di ciascuno.